martedì 19 giugno 2012

Stavo dormendo e pensavo alla mediazione, in particolare alle telecamere, alle macchine fotografiche come strumento di costruzione di falsi ricordi da trapiantare a quelli veri per rendere migliori le vacanze e chi le ha vissute, a quel punto non stavo più dormendo, stavo con gli occhi chiusi a sondare la consistenza del cuscino, perché mi piace sentire i cuscino tra collo e spalle, sono convinto sia uno degli accorgimenti speciali per dormire meglio, per addormentarsi subito, l'azione dello sprofondare controllato della testa, il contatto della stoffa con zone specifiche di pelle vicino alle orecchie, e mentre poche ore prima, alle due di notte, lo so perché non mi riaddormento se non guardo l'ora, alle due m'ero svegliato e c'era un silenzio preoccupante, niente traffico, niente animali, niente di niente, sembrava uno di quegli incubi dove ti viene l'ansia perché è tutto normale, non succede niente, e più pensi che sbagli a farti venire l'ansia perché non ce n'è motivo e più ti viene l'ansia per via che l'ansia invece ti viene e ti arrabbi con te stesso per la tua incapacità di accettare il fatto che è tutto a posto, c'è solo un silenzio un po' strano, c'è solo una luce un po' fioca e l'aria un po' ferma, dovresti goderti tutto questo al posto di cedere a stupide reazioni emotive dettate da secrezioni nell'ipotalamo o altro recesso cervellotico con radici nel brodo primordiale, e se alle due c'era un silenzio non dico allarmante ma curioso, per nulla ansiogeno, diciamo intrigante, mentre pensavo alla mediazione, alle sei e diciotto, c'erano invece canti e fischi striduli e il cambio marce degli autoveicoli giù in strada, poppanti in lacrime non si sa se per farsi notare o per la semplice consapevolezza di esistere e motorini distanti con la marmitta senz'anima, mi son detto se fosse inverno oggi scriverei di persone che giudicano le vite altrui dalla narrazione che ne viene fatta e propongono di essere giudicati in base alle foto con filtro seppia prese col telefonino in luoghi che devono essere considerati invidiabili in base alla tradizione, si va nel tal posto perché è famoso e chi ci va conquista una dose di mitologia riflessa, uno stemmino da boy scout da cucire sul passaporto, una stellina di merito dalle mani dell'amata maestra a altra dispensatrice di accettazione e autostima, al punto che l'esperienza concreta e la vita vissuta cedono il posto all'immagine di sé cui si tende e si ambisce, alle decisioni su cosa mettere per comunicare al meglio la propria superiorità o il gradino conquistato sulla scala sociale, il tutto viene certificato dall'atto di mediazione dello scatto, del filmato, dove non serve dire nulla, sapere nulla, dove non si impara nulla se non modi sempre più elaborati di fingere la comprensione, perché al dunque la verità e la sostanza non stanno più dentro le cose ma negli occhi di chi le guarda, il giudizio diventa qualcosa di completamente slegato dai contenuti, una mera questione di forme e di linee, di stile e di estetica, di gradimento basato sulla reazione istintiva, emotiva, irrazionale, e noi, le nostre vite, le nostre pretese di lasciare un segno sulla pelle del mondo o nella memoria del mondo, noi si diventa come fiori ornamentali per arredare il set di un film di quelli dove c'è un silenzio un po' strano, una luce un po' fioca, un'aria un po' ferma, ma niente di cui preoccuparsi, noi si diventa morbidi colorati e profumati prodotti ornamentali, fiori di plastica che sennò il giorno dopo appassiscono e puzzano e si gettano via, e meno male che è estate, ho pensato, che io d'estate non scrivo e tutta questa roba è come se nemmeno l'avessi pensata, che sollievo, molto meglio concentrarsi sui rumori che entrano dalla finestra aperta, indovinare l'ora, tormentarsi sulla scelta fra tuorlo d'uovo sbattuto con lo zucchero e un meno calorico yogurt bianco e ciliegie fresche.

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